venerdì 25 febbraio 2011

quando la finzione diventa realtà (e ritorno)


A question to Niklas Asker about his graphic novel Second Thoughts (Il giorno in cui non ci incontrammo) (Elliot).


In Second thoughts, Jess, the main charachter, is writing a book and she takes inspiration from stories and people part of her real life. When I was reading the book I wasn't sure whether I was in the main story or in Jess's story. Your narration unfolds so smoothly that you never really know which story you're in: if it's the main story or Jess's book. That's very intriguing and engaging.
In your life, do you ever feel like you could be part of someone else's book or that people you know could be written or painted in your works? Did you take inspiration from people you know for this graphic novel?



I think art is essential to our lives. We use it as a mirror and it helps us distance ourselves from our own lives. I don't imagine myself as being a part of someone else's story, but that might be because I hate the idea of being controlled by someone else. I do however, think that reality (whatever that is) and fiction (whatever that is) melt together all the time. Everything we experience is, after all, impressions. Who's to say what is real and not.
A book might affect me more than a person and vice versa. I encounter someone or something in my life that inspires me to write or paint. In this sense everyone I know is included in my work in one way or another. Reality inspires fiction.
Then someone reads what I've written or looks at a painting and hopefully it makes them think about their own lives, maybe even inspires them to change something. Fiction inspires reality.
This cycle is what I call art.

Second Thoughts is a work of fiction. I've never dated a rock star in London while working as a photographer, and my name is not Andrew or John. On the other hand, the story is inevitably a mix of things I've experienced, a kind of essential remix of the hardships of love I've seen in my life. So in that sense it's very much real and I am in fact a character in my own story.


Una domanda a Niklas Asker sulla sua graphic novel Il giorno in cui non ci incontrammo (Elliot).

Ne Il giorno in cui non ci incontrammo, Jess, la protagonista, sta scrivendo un libro per il quale prende ispirazione dalle storie e dalle persone che fanno parte della sua vita. La tua narrazione scorre così bene che non è sempre facile capire in quale storia si è calati: se in quella principale o in quella raccontata da Jess nel suo libro. é tutto molto intrigante e accattivante.
Nella tua vita, ti capita mai di pensare che potresti essere parte del libro di qualcun altro o che le persone che conosci potrebbero essere scritte o disegnate nei tuoi lavori? Per questa graphic novel ti sei ispirato a persone che conosci realmente?


Penso che l'arte sia essenziale nella nostra vita. La usiamo come uno specchio e ci aiuta a prendere le distanze tra noi stessi e la vita. Non riesco ad immaginarmi parte della storia di qualcun altro, ma questo potrebbe essere perchè odio l'idea di essere controllato da qualcun altro. Però penso che la realtà (qualsiasi cosa sia) e la finzione (qualsiasi cosa sia) si fondono sempre. Tutte le esperienze che viviamo, in fondo, sono impressioni. Chi può dire cosa è reale e cosa no?
Un libro potrebbe influenzarmi più di una persona e viceversa. Incontro qualcuno o qualcosa nella mia vita da cui traggo ispirazione per scrivere o dipingere. In questo senso tutte le persone che conosco sono incluse nei miei lavori in qualche modo. La realtà influenza la finzione.
Poi qualcuno legge quello che ho scritto oppure osserva un dipinto e magari è portato a riflettere sulla propria vita, o addirittura a trarre spunto per cambiarla in qualche modo. La finzione influenza la realtà.
Per me, l'arte è questo ciclo.

Il giorno in cui non ci incontrammo è fiction. Non sono mai uscito con una rock star a Londra mentre facevo il fotografo e il mio nome non è nè John nè Andrew. Da un altro punto di vista, la storia è inevitabilmente un mix di cose che ho vissuto, una sorta di miscuglio essenziale di tutte le difficoltà che ho attraversato in amore. In questo senso è molto reale e io sono effettivamente un personaggio nella mia storia.

domenica 20 febbraio 2011

tra l'inizio e la fine



Una domanda a Bastien Vivès sulle sue graphic novel pubblicate in Italia, Il gusto del cloro e Nei miei occhi (Blackvelvet).

Entrambi i libri hanno in comune l'incompiutezza di un sentimento e l'inconsistenza di una possibile relazione. Entrambi sono incentrati su una incantevole figura femminile, seguita da diversi punti di vista ne Il gusto del cloro e filtrata unicamente dallo sguardo della voce narrante in Nei miei occhi. Ci fai provare quello che sente il protagonista e ci lasci, alla fine, con lo stesso senso di sospensione a cui lui è abbandonato.
Pensi che sia più interessante raccontare una storia che non abbia un esito rassicurante? E' questo il modo migliore per ritrarre un desiderio, lasciarlo insoddisfatto?


In effetti, quando avevo scritto queste due storie, cercavo delle verità...
Quello che mi interessava erano l'attitudine e la relazione tra i personaggi.
E' per questo che la fine diventa come l'inizio... in maniera naturale.
Un po' come la vita, l'inizio e la fine sono le sole cose che sappiamo. E' quello che succede nel mezzo ad essere interessante da racontare.

Sono libri sui sentimenti: una volta conclusi possiamo tranquillamente lasciare i personnaggi, senza avere bisogno di sapere dove andranno o da dove sono venuti.

lunedì 14 febbraio 2011

conservare le citazioni


Una domanda ad Alessandro Baronciani, sul suo libro Le ragazze nello studio di Munari (Blackvelvet).

"I libri raccontano delle storie. I libri usati raccontanto anche altre storie."
Le ragazze nello studio di Munari trabocca di citazioni: locandine di film, oggetti di design, copertine di libri e di dischi, architetture. Fabio, il protagonista, sembra vagare senza meta in questo mondo di riferimenti.
Quale storia vuoi davvero raccontare in questo libro?


Mi piace l'idea che in un periodo come il nostro, dove tutto si sta trasformando e digitalizzando ci sia sempre qualcosa che vuoi conservare perché è bella. Un po' come con le fotocamere digitali: oggi scattiamo tantissime foto, ma stampiamo soltanto quelle che ci piacciono di più.

lunedì 7 febbraio 2011

partenze e ritorni


Una domanda a Manuele Fior, sul suo ultimo libro Cinquemila chilometri al secondo (Coconino Press)

Lucia, la protagonista, parte per Oslo, mentre Piero si trasferisce al Cairo. Per poi ritrovarsi, dopo molte pagine che significano anni, e dirsi che ritornare è peggio che partire, perché si ritrova tutto come lo si è lasciato, a parte se stessi. Nei dialoghi del libro c’è la tua esperienza? Perché i personaggi temono il ritorno?

Perché il ritorno non accetta i cambiamenti sopravvenuti con la partenza. Le persone che ti conoscono, il contesto in cui hai vissuto continua a vederti per quello che eri, non per quello che sei diventato. Penso che sia più difficile ingoiare il rospo di ritornare a casa, piuttosto che affrontare i rischi e le paure delle partenze. Partire, si dice che sia un po' morire – ma è soprattuto cominciare una vita nuova, avere la sensazione di poter cambiare una volta per tutte, sicuramente scoprire dei nuovi lati di sé stessi.

Non so se ti è mai capitato di leggere quella storia di Gente di Dublino di Joyce, Eveline.
Tutti attorno a lei partono, lei sogna di fuggire col marinaio che ha appena conosciuto. Ma sul più bello, mentre la nave sta salpando e il ragazzo la chiama, lei rimane avvinghiata alla ringhiera della banchina e lancia un urlo tremendo. Non riesce a vincere la paura della partenza e deve ritornare alla polverosa casa di suo padre, a annusare le tende di “dusty cretonne”. Il ritorno è un po' quell'urlo, che devi imparare a soffocare.